In occasione dei 500 anni dalla morte di Leonardo da Vinci, insieme a moltissime iniziative tra Italia e Francia, torna puntuale la semiseria polemica sulla restituzione della Gioconda. Ed è ogni volta più esilarante costatare come proprio le persone che mai hanno messo piede in una pinacoteca siano le prime a reclamare con veemenza il rimpatrio della Monna Lisa. Tuttavia, questa querelle da bar sport – oltre a farci sorridere – ci dice anche qualcosa di molto più interessante: ovvero che l’arte ha l’esclusiva capacità di toccare delle corde sorprendenti anche nei più profani.
Su questo singolare attaccamento, in realtà, influisce ancora l’onda lunga dell’entusiasmo post finale dei Mondali 2006, che proprio contro i cugini francesi ci ha visto trionfare. Negli ultimi anni, in particolare, hanno saputo scherzarci su con grande efficacia Pio e Amedeo, che con la maglietta della nazionale hanno sfilato per i Champs-Élysées reclamando la Gioconda fra i passanti, in una puntata del loro fortunato format Emigratis; e persino Vittorio Sgarbi, prima sui suoi canali social e poi all’interno di uno spettacolo itinerante, prodotto da Corvino produzioni, con il quale sta tutt’oggi girando per il Paese.
Proprio il critico d’arte ferrarese ha ricordato, con il suo consueto talento divulgativo che alterna momenti di grandi analisi critica a momenti più scherzosi, che Leonardo in realtà si sentiva quasi tutto, fuorché un pittore di professione. Tant’è che entrò nella corte del Moro, a Milano, suonando in una gara musicale uno strumento da lui prodotto, e si presentò agli Sforza con una “lettera d’impiego” nella quale metteva in mostra le sue competenze d’ingegnere, stratega militare, idraulico, architetto, e solo alla nona voce accennava al fatto che sì, in effetti, due schizzi di pennello sapeva anche farli.
Ma come stanno effettivamente le cose? Quella della Francia è stata davvero un’appropriazione indebita? No. Leonardo, chiamato in Francia nel 1516, portò con sé la Gioconda che aveva già realizzato precedentemente, e fu proprio Francesco I di Francia ad acquistarla direttamente dal pittore. Sono pochissime, infatti, le opere pittoriche che Leonardo realizzò su commissione, sia perché era spesso intento a tutt’altro sia perché voleva essere libero di dipingere ciò che più gli interessava – un aspetto che lo accomuna molto all’immaginario di artista che abbiamo noi oggi.
La Francia ha dunque tutto il diritto di esporre la Gioconda al Louvre. Tuttavia, per non cadere d’altra parte neppure nella retorica anti-italiana, va sottolineato che di opere trafugate ce ne sarebbero molte altre, da reclamare. E la colpa è tutta di quel furbacchione di Napoleone. A titolo di indennizzo, infatti, negli armistizi sanciti nella Penisola dal 1797 in poi, spesso l’esercito francese impose ed ottenne una contropartita in opere d’arte.
Soltanto nel 1815, dopo la caduta di Napoleone a Waterloo e il conseguente Congresso di Vienna, Pio VII inviò Antonio Canova a recuperare le opere d’arte saccheggiate dai francesi. Tuttavia, il prestigio dello scultore veneto non riuscì a sopperire al pressoché nullo potere contrattuale degli Stati preunitari nel panorama internazionale del tempo. Soltanto grazie al sostegno diplomatico ed economico degli inglesi, e soprattutto del sottosegretario William Richard Hamilton, l’Italia riuscì a recuperare gran parte delle opere trafugate.
Gran parte, appunto, non tutte: i curatori francesi, infatti, capeggiati dall’irriducibile direttore del Louvre Vivant Denon, cercarono in tutti i modi di camuffare e delocalizzare le opere italiane in tutto il territorio francese, cosicché divenne pressoché impossibile recuperarle una per una. Dunque, quando passeggerete per i corridoi del Louvre, piuttosto che indignarvi per la sola Monna Lisa, dovreste farlo semmai per tutti i vari Cimabue, Giotto, Mantegna, Guercino, Guido Reni…

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