Per comprendere il tema della responsabilità giuridica degli insegnanti in occasione delle “gite scolastiche”, è necessario tracciare un quadro generale sulla materia.
Bisogna distinguere, preliminarmente, due tipi di danni: quelli cagionati dall’alunno agli altri e quelli cagionati dall’alunno a sé stesso.
Nel primo caso, la norma di riferimento è l’articolo 2048 del Codice civile (responsabilità extracontrattuale), il quale al secondo comma prevede che “i precettori [ossia gli insegnanti] e coloro che insegnano un mestiere o un’arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza”. Dal tenore testuale della disposizione emerge che la responsabilità degli insegnanti ha un ruolo residuale (“nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza”) rispetto a quella dei genitori e dei tutori.
Il terzo comma dello stesso articolo ci dice qualcosa in più sulla possibilità, degli insegnanti, di liberarsi da questa responsabilità: “le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto”. Queste parole sono state interpretate dalla giurisprudenza nel senso che è necessario provare di aver adottato, preventivamente, le misure organizzative necessarie per evitare una situazione di pericolo, oltre alla concreta imprevedibilità e repentinità dell’azione dannosa (Cassazione civile, Sezione III, Sentenza 27/11/2018 n. 30602) (Fonte: De Jure).
La stessa Corte di Cassazione però, nel 1993, ha stabilito un principio di diritto, favorevole all’insegnante, che risulta ancor oggi attuale e condivisibile, in base al quale il dovere di vigilanza è da intendersi in senso relativo, non assoluto: il suo contenuto e l’intensità del suo esercizio devono essere sempre correlati all’età ed al normale grado di maturazione degli alunni, secondo una relazione di proporzionalità inversa (al crescere della maturità dell’allievo, diminuirà il livello di vigilanza richiesto) (Cassazione civile, Sezione I, Sentenza 9/05/2016 n. 9337 e Cassazione civile, Sezione III, sentenza 23/06/1993 n. 6937) (Fonte: De Jure).
La seconda ipotesi è quella dei danni cagionati dall’alunno a sé stesso; in questo caso, è ancora la Cassazione a far chiarezza, con la Sentenza n. 9346 del 27/06/2002 (Fonte: De Jure): nel caso del danno autoprocuratosi dall’allievo non sarà applicabile l’art. 2048 del Codice civile, ma dovrà farsi riferimento all’articolo 1218 del Codice civile. Si tratta della c.d. responsabilità contrattuale, derivante dalla circostanza che, tra precettore ed alunno, sorge per contatto sociale un rapporto giuridico assimilabile ad un contratto, in virtù del quale l’insegnante si obbliga, tra le altre cose, a vigilare sulla sicurezza e sull’incolumità dell’allievo, anche al fine di evitare che questi si procuri un danno.
In base all’articolo 1218 del Codice civile, “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”.
L’insegnante dovrà dunque provare che la prestazione (in questo caso, la vigilanza) è diventata oggettivamente (a prescindere da condizioni soggettive) impossibile, per una causa a lui non imputabile (ossia non prevedibile né evitabile), come nelle ipotesi di caso fortuito (ad esempio, un terremoto) e di forza maggiore (ad esempio, l’ordine della pubblica autorità).
Venendo ora alle “gite scolastiche”, deve ritenersi che, in quanto espressione dell’attività didattica, non siano estranee ai regimi di responsabilità appena analizzati; pertanto, quanto visto finora può considerarsi esteso anche ai viaggi d’istruzione.
Fatta questa necessaria premessa, successivamente si esaminerà la casistica giurisprudenziale relativa alle situazioni reali che sono finite nelle aule di Corti e Tribunali.

Avv. Giacomo Amedeo Tosi Dott. Federico Tosi

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